Il filo di Arianna

“È una linea che si srotola continua e non aspetta”

Fuori della porta il freddo lo accolse a schiaffi. S’incamminò. I pochi passanti andavano per la loro strada, lui affrontò la prima scelta della giornata. Andare a destra o a sinistra? Fu questione di un attimo. Quel giorno decise per la sinistra.

Uno scavo scoperto si frapponeva fra lui ed il resto della sua giornata, insensibile al bisogno urgente di chi doveva proseguire per i fatti propri.
Cambiò lato velocemente, dall’altro marciapiede l’ottica era ben differente. Nessuna buca, nessun cantiere, nessuna auto mal parcheggiata interrompevano visuale e cammino. Tutto libero. Libero fino all’orizzonte. Ben quattro isolati da percorrere in tranquillità senza altre decisioni da dover prendere.
Raccolse il fardello dei suoi pensieri e si avviò di buon passo. In fondo l’aria di libertà rendeva sopportabile persino il freddo del mattino. Con la mano destra si sistemò meglio la sciarpa di seta azzurra attorno al collo mentre la sinistra era impegnata a tener ben chiuso il cappotto di lana grigia. Il passo era deciso ma tranquillo, come di chi sa di avere molto tempo davanti a se, tanto la linea sa come farsi seguire e in un modo o nell’altro, si finisce sempre con l’arrivare puntuali all’appuntamento.
È molto più difficile raccogliere il filo lungo la strada ed arrotolarlo senza farlo ingarbugliare troppo.
Lui, il suo, lo aveva trovato molto tempo prima. Pur pensandoci intensamente, non riusciva a ricordare con precisione né il quando né il come, emergeva solo l’immagine di quel filo, opaco e sporco, lungo un muro di periferia che non si lasciava guardare per più di un attimo. Aveva solo avuto l’istintiva certezza assoluta che era il suo. Era lì che aspettava di essere scoperto da un bel po’ di tempo. Non si erano più lasciati.
Il filo si diramava in due direzioni. Era costretto ad una altra scelta. Svoltò a destra. La strada gli pareva più sgombra. Sapeva bene che il preferire strade apparentemente più libere non era realmente di grande aiuto al suo procedere, l’unica garanzia che aveva in questi casi era quella di trovare un nuovo bivio più avanti.
Per ora preferiva così, ci sono momenti di stasi nell’evoluzione di ogni spirito.
Ancora quel leggero senso di smarrimento acutizzato dal freddo, oppure era quest’ultimo a provocare in lui quelle fastidiose strette allo stomaco? Ormai aveva imparato a riconoscere il segnale, si stava avvicinando ad un punto critico.
Sforzandosi di riacquistare un po’ di calma, si guardò attorno. Tutto pareva normale. A quel punto vide … Poco più avanti … Lungo il muro. A terra … Sul marciapiede. Un piccolo groviglio di filo. Non un incrocio o un bivio. Un nodo inestricabile, con alcuni fili che arrivavano ed altri che ne partivano. Ogni filo un colore leggermente diverso dagli altri. Vide pure avvicinandosi un po’, un filo che giungeva da una via laterale. Era spezzato alla giunzione del nodo. Contò i fili in arrivo, erano quattro con quello spezzato. Più il suo cinque. Contò i fili in uscita. Erano quattro. Soltanto quattro. In quel punto chi stava seguendo il filo spezzato non avrebbe proseguito. Così va il mondo e il tempo lo sa.

“Una linea sottile circonda il centro del tempo”

È incredibilmente difficile superare l’ultima barriera per giungere al centro della città. Sarebbe più semplice superare un muro di specchi con la sommità persa nell’azzurro del cielo. Eppure è solo una linea che traccia una circonferenza mentale. Una semplice linea sulla quale però è impossibile fare presa. Le unghie non servono. È interessante vedere i lampi multicolori che arrivano dalla periferia. Puntano verso il centro. Si disperdono lungo la sottile circonferenza. Lasciano nell’aria un penetrante odore di sconfitta. Il cerchio ruota lentamente su se stesso. A volte, sembra di scorgere lunghi corridoi dai tratti spezzati. Ma tutto dura soltanto un attimo. Tutto torna subito alla normalità. Eppure, la via verso il “centro”, pare sempre sgombra, a portata di mano.

“Una linea sottile al centro del tempo”

S’era lasciato alle spalle il groviglio. Adesso aveva un motivo per accelerare il passo, non voleva assolutamente correre il rischio di incontrare chi stava seguendo il filo spezzato. Non sempre è un bello spettacolo vedere il tempo riscuotere quanto gli è dovuto.
Svoltò al primo angolo. Una fontanella immobilizzata dal gelo, una cascatella di ghiaccio, come un sogno sospeso di mille gocce d’acqua abbracciate strette strette per sconfiggere il freddo. Per un attimo perse di vista il suo filo. Lo ritrovò un po’ più teso due isolati avanti. Riprese il passo normale. Il vento, ogni tanto, gli portava i profumi del “centro”, erano ancora troppo vaghi per riuscire a definirli, ma abbastanza presenti da causargli una leggera nausea. Un vago senso d’inquietudine lo costrinse ad afferrarsi al filo. Non lo aveva più stretto in mano da quando, molti anni prima, lo aveva ritrovato; non era una sensazione spiacevole, come un leggero formicolio che accarezzava il palmo della mano, risaliva lungo il braccio e si precipitava a cascata per tutto il corpo. Era rassicurante, dolce, riposante …
… Il filo lo morse! Lui lanciò un grido e lasciò la presa, era terrorizzato. È folle pensare che un filo possa mordere una persona, non ha le caratteristiche necessarie, eppure … aveva percepito i denti che stringevano in una morsa dolorosa il palmo della sua mano destra. I forti canini che ne laceravano la pelle, il caldo umido di una bocca bestiale, la bava sanguigna che gli colava lungo il polso.
Si ritirò di un passo guardando il filo con orrore. Non fuggì. Restò fermo a fissare ora la mano, ora il filo che naturalmente, non mostrava fauci irte di denti e neppure gli occhi torvi che si era aspettato di vedere nel punto, dove oscillando leggermente, il filo restava in attesa.
Non gli sembrava il caso di scappare. – Stupido! – si disse – certo che è il caso di fuggire, il più lontano possibile. Non vedi nulla che ti possa far male ma, il dolore lo hai sentito. La cosa più sensata da fare è scappare via, in fretta. Dove vuoi che ti stia guidando un filo che morde? – Mentre seguiva questo pensiero, apparentemente contro ogni logica, stese la mano lentamente, fino a toccare il filo ormai immobile. – Insensato! Dopo quanto è successo! – pensò.
Tutte le sue paure cessarono appena appoggiò il palmo della mano sul filo. Quale conseguenza naturale del gesto, riprese a camminare a passo sostenuto. Non sapeva dove stava andando, ma qualcosa gli diceva che la strada era quella giusta. Sentiva di potersi fidare del suo istinto. Svoltò all’angolo successivo.

“La linea senza volontà che ruba speranza e forza confondendosi nel cerchio ai bordi del tempo”

La struttura poteva ricordare vagamente una specie di parafulmine, probabile che non lo fosse per nulla. Eppure la prima impressione, per associazione di idee, dava come risultante: “parafulmine”. Sembrava un immenso gomitolo di fili grigi. O multicolore? Come si può rendere un controsenso quale può essere il definire multicolore un ammasso grigio? Eppure era così. Migliaia di sfumature iridescenti in continuo movimento che, guardandole per più di un istante apparivano grigie. Un groviglio dorato d’un incredibile magnetismo. Un sole freddo e spento che non si lascia guardare. Ti guarda in fondo all’anima, ne rovescia il contenuto sulla strada, poi te lo fa calpestare con la rabbia che nasce dalla disperazione, fino quando ti accorgi di averlo ridotto in polvere impalpabile. Vide la polvere arrivare dalle vie di periferia. Giocava con il vento in mille mulinelli e si accumulava ai piedi del gomitolo. Oltre ad un certo livello però i cumuli non crescevano.
Quando si accorse del cambiamento che stava avvenendo in lui era già troppo tardi, anche solo per fingere una qualche preoccupazione.
Si stava lentamente polverizzando. Le sue estremità inferiori si stavano sfaldando in mille granellini e lui scivolava come su un paio di pattini verso il gomitolo.
Ormai stava procedendo così da alcuni minuti, si era già consumato fin quasi alle ginocchia quando sbucò in una piazzetta. Tonda, non molto grande, un paio di isolati prima del centro della città. Si fermò un attimo e provò a guardarsi attorno. Su nuvole di polvere finissima stava sopraggiungendo un corteo lunghissimo di esseri a differenti stadi di consumazione. C’era chi procedeva come lui sulle ginocchia, chi poggiava solo più sul tronco ed aveva le braccia consumate fino al gomito, chi si stava appena sfaldando alle caviglie, mentre qua e là, su mucchietti di polvere grigia, scivolavano alcune teste che si scambiavano sguardi sorridenti e tranquilli oppure un po’ impauriti oppure solo stupiti per una simile strana situazione. L’affascinante corteo procedeva fra rivoli di polvere, attirato dal gomitolo al centro della città. Era una ragnatela di fili che fuoriuscivano dai cumuli di polvere. Al centro spiccava il gomitolo. Il parafulmine per le scintille di vita che inseguivano i fili per le vie della città. La sua testa prese a scorrere sul mucchio di polvere che una volta era stato il suo corpo. Ben consapevole d’essere arrivato al capolinea non si sentiva minimamente spaventato, ormai aveva realizzato le differenze ed i significati e comunque, percepiva sempre più forte il calore delle iridescenze e dei colori solari del centro della ragnatela.
Per un attimo si chiese che effetto potesse fare entrare nel gomitolo, poi anche la parte superiore del suo cranio fu polvere ed i pensieri scivolarono via, dolcemente, dalla cresta della duna e rotolando brevemente, si fermarono in un sospiro ai piedi del “gomitolo”.
Fu luce, poi buio, poi silenzio e suono. Un vortice nel fluire circolare della polvere che precipita nel cerchio ai bordi del tempo.
Si trovò a respirare l’aria del mattino, con piena coscienza di essere vicino al suo filo…

È una linea che si srotola continua e non aspetta”


S’incamminò. I pochi passanti andavano per la loro strada e lui affrontò la prima scelta della giornata. Andare a destra o a sinistra? Non impiegò più di un attimo nel prendere la sua decisione.



Questo racconto ha concorso al premio “Laboratorio delle Arti” – Milano 1993
© Massimo Apicella 1990

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